
Abbazia di
San Firmano
La storia
L' abate Teodorico riferisce che San Firmano visse in questa abbazia dal 986 all' undici marzo del 992, giorno della sua morte;quanto al luogo di nascita, egli lo dice nativo di Fermo,altri ritengono, che San Firmano sia nato a Recanati.
Nel 971, a 20 anni, Firmano fu ordinato sacerdote da un vescovo simoniaco, secondo l' usanza del tempo.
Dopo essere vissuto per 15 anni da sacerdote secolare, decise di seguire la "regola" di San Benedetto e divenne monaco benedettino.
Una pia signora, probabilmente della famiglia Grimaldi, avendo deciso di far costruire un nuovo monastero in cui vivessero persone dedite al Divino servizio e "facessero orazione per la sua anima ed eterna salute", volle che Firmano, a preferenza di altri, ne fosse il primo abate e con la sua autorità e il suo esempio ne popolasse le celle.
Il monastero, fatto costruire dalla pia signora e di cui San Firmano fu il primo abate, è quello che si vede tutt' ora adiacente all' abbazia. I monaci benedettini vi sono vissuti fino al 1468 e fedeli alla "regola"di San Firmano "ora et labora", non solo hanno promosso la bonifica di questa bella vallata del Potenza, ma anno ache elevato la dignità della gente con la cultura, e la fade cristiana.
Questo nuovo stile di vita, realizzato dai monaci in tutta Europa dopo le distruzioni dei barbari Già nel 1028 esisteva il "Ministerium Sancti Firmani ", come si legge nel Regesto Fermano che non poca importanza religiosa e politica ha esercitato nei dintorni. In uno strumento notarile del 1248 si legge che nel monastero vivevano oltre 20 monaci.
Nel 1248 ci fu un' incursione di ghibellini maceratesi guidati da Roberto di Castiglione, vicario di Federico II nelle Marche, per mettere a ferro e fuoco il monastero di San Firmano, perchè aveva aiutato le soldatesche del vescovo Marcellino e altri guelfi.
La testimonianza suddetta ci permette di conoscere alcune attività dei monaci.
Il Castiglione e i suoi infatti, distrussero e incendiarono : 2 mulini, 12 case appartenenti alla chiesa del monastero, gli altari, 9 carri, la catena del pozzo, 12 vomeri, tutti iletti e le vesti dei monaci, 12 botti piene di vino, 4 paia di presse di legno che servivano per la torchiatura, 30 alveari, 3 campane e portarono via tutto il frumento, arrecando gravi danni agli animali ed a tutte le altre cose dei monaci e del monastero.
Allora i suddetti ribelli e per essi anche di Macerata, furono condannati dal cardinale Ranieri (vescovo di Fermo) , delegato di papa Innocenzo IV (1243-54), nella marca anconetana, al completo risarcimento dei danni, per poter essere ammessi alla piena grazia della sede Apostolica.